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Nino Muzzi: "Cercavano Libertà"

Nino Muzzi: "Cercavano Libertà"

Nino Muzzi:
Una riflessione di Nino Muzzi, a partire dal rapporto del Collettivo con le esperienze cattoliche di base alla dialettica tra operai e partito.

 

Nell’ambito del dibattito su L’utopia della base si è, per così dire, aperto un fronte cattolico, che indaga sul rapporto che il Collettivo intrattenne agli inizi con i giovani cattolici, con la comunità di Don Mazzi e con la figura di Don Auro Giubbolini, che aveva organizzato nella sua parrocchia un doposcuola sul modello di Barbiana.

Per quanto riguarda i rapporti con un gruppo di giovani cattolici colligiani, ricordo che nacque in forma di comitato unitario di sostegno al Vietnam in lotta e si articolò in seguito sulle tematiche della lotta di classe a Colle.

I giovani cattolici cominciarono a chiederci se dovessero far politica come cattolici o come semplici cittadini, e noi, che pure eravamo contrari al cattolicesimo politico (cioè alla DC), non potevamo consigliare a quei giovani di far politica da semplici cittadini indifferenziati, dimenticando il loro specifico impegno morale.

Noi pensavamo certo che la morale, in quanto figlia di una dottrina astratta e non di un’esperienza storica, fosse un’impotenza in atto, ma d’altra parte sapevamo che Gramsci insisteva molto sul rapporto dialettico fra struttura e sovrastruttura che tende a formare un “blocco storico” necessario a che la soggettività sociale si realizzi e produca Storia. E quando leggevamo sui muri di Firenze la frase:”Bombe sul Vietnam, e tu?” capivamo che si trattava di una voce cattolica e che questa voce voleva entrare nella Storia, uscendo dal dottrinario astratto della parrocchia.

Quindi si trattava di richiamare questa attenzione per le ingiustizie del Mondo, di un Terzo Mondo idealmente vicino ma concretamente lontano, sulla condizione operaia, un mondo concretamente vicino ma fino ad allora idealmente lontano.

Si trattava di mostrare a questi giovani che l’operaio non era solo quello che vedevano al Bar dell’angolo quando si recavano in parrocchia, ma che rappresentava un movimento reale che in quella fase storica non si poneva solo come conflittuale, ma anche come alternativo alla classe dirigente (tanto per usare il lessico di Panzieri).

Esisteva quindi un movimento che ci liberava, in quanto società nel suo complesso, e questo cominciarono a sentire e volere quei giovani cattolici: cercavano libertà dagli operai.

La libertà che ci veniva offerta dalla classe operaia aveva tre aspetti.

Il primo era rappresentato dallo svelamento di ciò che la società vuole sempre tenere nascosto, e cioè la produzione materiale dell’esistenza. Per questo, quando gli studenti entrarono nelle fabbriche (alla Vilca e nella cava di gesso, per esempio) sentirono di fare una scoperta, quella di toccare con mano la condizione di sfruttamento su cui poggiava la creazione della ricchezza, e fu per loro un’acquisizione di autenticità sociale che né la Scuola, con il suo sapere astratto, né la Chiesa, con la sua morale astratta, né la Famiglia, con il suo protezionismo perbenista, avevano saputo trasmettere loro.

I giovani cattolici si trovarono a scegliere fra il bene e il male da un’ottica diversa: il male era lo sfruttamento capitalistico.

Il secondo aspetto fu l’acquisizione di forza argomentativa nei confronti dell’istituzione, comunque intesa: il PCI, la Chiesa, la Scuola, la Famiglia, lo Stato. Questa acquisizione di forza argomentativa diventava un’acquisizione di forza contrattuale nei confronti dell’Istituzione e quindi un’acquisizione di libertà. Questa nuova forza libertaria attinta alle lotte operaie pervadeva sia i giovani cattolici sia i giovani comunisti del PCI, che, sintomaticamente, a quel tempo non conducevano all’interno del partito battaglie di corrente, battaglie orizzontali (Amendola contro Ingrao o simili), bensì battaglie verticali (base contro vertice, sezione di Colle contro Federazione di Siena).

Il terzo aspetto era costituito dal “principio speranza”, l’operaio che diceva: “Io al Socialismo non ci voglio arrivare con le stampelle!”

Questo principio speranza (nel senso di Bloch, cioè di capacità di vivere l’utopia o, come diceva Lotta Continua, di “praticare l’obiettivo”) era nuovo rispetto alla rassegnazione che regnava fra gli operai degli anni cinquanta, quelli che facevano gli straordinari per far studiare i figli a cui avevano affidato un loro individuale riscatto sociale assieme alla raccomandazione di non fare politica.

Questa speranza, riaccesa in seno alla nuova classe operaia, ci dava la libertà di lottare apertamente, di fare politica uscendo allo scoperto, di pensare in termini collettivi e non individuali.

E questa speranza di tipo nuovo contagiò il mondo cattolico a tal punto che, mentre i comunisti iscritti al PCI non subirono una diaspora, ma solo un logoramento, i cattolici si trovarono a combattere su tutti i fronti politici. Certo, non riuscirono a diventare maggioritari nel loro complesso, ma in certi momenti riuscirono anche ad essere egemoni.

 

 

 

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